Comproprietà o proprietà comune: la quota non deve necessariamente corrispondere all’effettivo finanziamento
Sebbene questa sia la forma più semplice di convivenza in una casa di proprietà, non è affatto la più comune. Se entrambe o entrambi i partner desiderano contribuire al finanziamento, possono scegliere tra comproprietà e proprietà comune. Nella maggior parte dei casi di comproprietà, l’appartamento o la casa appartengono a entrambi in base a una quota concordata, che di solito corrisponde alla metà.
Le coppie sposate dichiarano il valore della proprietà abitativa come patrimonio nella dichiarazione fiscale congiunta, le coppie conviventi in base alla rispettiva quota. Quanto dichiarato non deve necessariamente corrispondere al finanziamento effettivo: i partner conviventi possono, ad esempio, concordare che il debito ipotecario sia suddiviso in rapporto 20:80 anche se la proprietà dell’immobile è equamente ripartita. Di conseguenza, nell’ambito dell’imposta sul reddito anche gli interessi passivi vengono dedotti in base alle effettive circostanze.
Questo regime ha però uno svantaggio: in caso di divorzio o separazione, l’abitazione risulta comunque in comproprietà. Pertanto, se nel frattempo l’immobile ha acquistato valore, ne beneficia la parte «finanziariamente più debole». Se invece vi è una perdita di valore, quest’ultima deve farsi carico della metà di tale perdita. Le persona «finanziariamente più forte» gode per una parte del suo investimento (ovvero per la quota che supera la metà, ad es. il 30% in questo esempio) di una cosiddetta garanzia del valore nominale, potendo quindi richiedere questa quota per intero all’altra parte.
Se, invece, la coppia decide di optare per la proprietà comune, può concordare la misura in cui entrambe le persone parteciperanno all’aumento e alla diminuzione del valore in caso di scioglimento della comunità. In questo caso occorre tuttavia che sia stata previamente fondata una società semplice.