Dall’euforia allo scetticismo: disincanto sui mercati a stelle e strisce

Dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni dello scorso novembre, i mercati azionari statunitensi hanno registrato un andamento folgorante, alimentato dalla speranza di riduzioni delle imposte, deregolamentazioni massicce e conseguenti effetti positivi sull’economia. L’indice dei titoli guida americano S&P 500 e quello a trazione tecnologica Nasdaq hanno conseguito ingenti utili sui corsi, toccando addirittura nuovi record prima di Natale. «Trump sistemerà le cose», recitava la convinzione ampiamente diffusa sui mercati finanziari.

La politica commerciale instabile di Trump genera forti insicurezze sui mercati.

Ma circa tre mesi dopo il vento è cambiato. L’iniziale ottimismo ha nel frattempo ceduto il passo alla realtà politica ed economica: molti operatori di mercato speravano che Trump attuasse le misure di sostegno alla crescita annunciate nel suo programma elettorale, ma finora il nuovo presidente ha portato avanti soprattutto una politica commerciale di forte stampo protezionista, incentrata su dazi punitivi nei confronti di Cina, Messico e Canada, che vengono regolarmente annunciati, revocati e poi di nuovo confermati.

Anche se rimane difficile prevedere quali saranno i passi successivi di Trump, le prime conseguenze dei suoi intenti politici si possono già osservare: la fiducia dei consumatori statunitensi è notevolmente peggiorata e anche i consumi, pilastro fondamentale della crescita economica, sono risultati inaspettatamente deboli a gennaio. Ancora, i dazi annunciati hanno spinto decisamente al rialzo le aspettative delle economie domestiche americane sull’inflazione. Per il 2026 prevedono ora un’inflazione del 5% circa, molto superiore al 3% attuale, 

e non è un caso: i prezzi delle merci importate negli Stati Uniti potrebbero aumentare in misura significativa proprio a causa dei dazi. In fondo, i concorrenti degli USA non hanno alcun incentivo a mantenere bassi i prezzi. L’esperienza insegna, anzi, che le aziende nazionali approfittano addirittura di queste situazioni in maniera mirata per aumentarli, migliorando i propri margini di guadagno. Bisogna inoltre tenere conto del fatto che inizialmente, per colmare le lacune nell’offerta generate dai dazi, le capacità di produzione vanno ampliate o addirittura create da zero. Dato che le aspettative sull’inflazione si ripercuotono a loro volta in misura considerevole sull’effettivo andamento dei prezzi, a oggi il bilancio del secondo mandato di Trump dal punto di vista economico è deludente. 

Questi sviluppi hanno finito per mettere sotto pressione anche i mercati azionari americani. Mentre i mercati europei, incluso quello svizzero, hanno dimostrato una sorprendente stabilità e addirittura sono cresciuti dall’inizio dell’anno, lo S&P 500 e il Nasdaq hanno registrato una netta correzione. Oggi si attestano rispettivamente al 6% e al 10% circa al di sotto dei loro valori massimi e sono quindi tornati al livello precedente all’entrata in carica di Donald Trump. Ironicamente, a soffrire di più sono proprio quei mercati che originariamente dovevano beneficiare di più della presidenza Trump. 

I rischi congiunturali e i timori per l’inflazione da cui mettiamo in guardia da qualche tempo si riflettono sempre di più sui mercati. Per questo motivo rafforziamo ancora una volta in maniera mirata il nostro atteggiamento difensivo nei confronti delle azioni USA. Perché quando il vento cambia e le acque si agitano, è indispensabile navigare con prudenza e attenzione per mantenere una rotta sicura.

Profilo di Philipp Merkt

Philipp Merkt lavora dal 2015 presso PostFinance, dove ricopre attualmente il ruolo di Chief Investment Officer e responsabile Asset Management Solutions. Originario del Cantone di Soletta, ha studiato informatica ed economia all’Università di Friburgo e ha conseguito un MBA in finanza all’Università di Berna e alla Simon Business School della University of Rochester NY.

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