La guerra commerciale diventa realtà

Purtroppo, il nuovo presidente americano Donald Trump ha mantenuto le promesse, impiegando dazi punitivi come strumento attivo della propria politica. La Cina e l’Europa reagiranno, con ripercussioni per l’economia e i mercati finanziari. Le conseguenze immediate sono un’inflazione più elevata e una maggiore insicurezza.

Le controversie commerciali scatenate da Trump minacciano sia singole aziende sia intere economie.

Donald Trump è presidente degli Stati Uniti da poco più di un mese e sta mettendo in pratica quanto annunciato con sorprendente rapidità e grande zelo. Mentre in un primo momento si è concentrato su misure di politica interna, da due settimane ormai sappiamo che fa sul serio con l’imposizione di tasse doganali e dazi punitivi.

Finora, i mercati finanziari hanno reagito a questi provvedimenti unilaterali con una pacatezza sorprendente, ma a chiunque osservi la situazione dovrebbe essere chiaro che la conseguenza diretta dei dazi sulle merci estere è un aumento dei prezzi. L’incremento della produzione interna, invece, è un effetto a scoppio molto ritardato. La minaccia incombente di un aumento dei prezzi al consumo arriva inoltre in un brutto momento. I tassi d’inflazione negli Stati Uniti erano tornati a salire già prima dell’insediamento del presidente Trump e con un’inflazione di fondo al 3,3%, il rincaro è molto superiore all’obiettivo che la banca centrale americana si è prefissata. Non è una buona notizia per i mercati finanziari: probabilmente per il 2025 non possiamo più aspettarci che forti riduzioni dei tassi da parte della banca spingano al rialzo i corsi azionari e obbligazionari.

A ciò si aggiunge il fatto che le contromisure dei Paesi colpiti avranno a loro volta effetti sull’inflazione nei mercati interni. Bisogna sperare che le risposte di Cina ed Europa siano più lucide e sagge in confronto alle provocazioni dagli Stati Uniti, e vi sono segnali favorevoli al riguardo. La Cina, ad esempio, non ha reagito con un’escalation generalizzata dei dazi, bensì ha avviato un’indagine contro Google per violazione delle leggi antitrust, cosa che non piacerà affatto ai giganti tecnologici americani. In queste prime settimane di governo Trump, nemmeno i Paesi europei hanno imposto dazi forfettari, bensì risposto in modo mirato con misure punitive ai danni di singole aziende o settori economici.

A oggi la Svizzera è colpita solo indirettamente da questi sviluppi, ma le cose potrebbero cambiare. Specialmente l’industria farmaceutica corre il rischio che l’occhio dell’amministrazione Trump cada sugli elevati prezzi di vendita dei farmaci prodotti in Svizzera; ma il nostro Paese è vulnerabile anche sul fronte delle esportazioni di prodotti agricoli e della protezione del mercato interno dalle importazioni di articoli a basso costo dagli Stati Uniti. E per finire, c’è ancora il rischio che la Svizzera venga classificata come manipolatore di valute. Non è una preoccupazione così ingiustificata: presentiamo infatti una forte surplus commerciale con gli Stati Uniti e, per di più, la Banca nazionale svizzera (BNS) ha cercato a più riprese di indebolire il franco.

Pertanto, dopo un inizio d’anno eccellente, riduciamo la sovraponderazione nel mercato azionario svizzero. Ci sembra raccomandabile realizzare gli utili, poiché alcune grandi imprese svizzere verrebbero particolarmente colpite da possibili dazi statunitensi, e le conseguenze della guerra commerciale di Trump potrebbero essere sproporzionate.

Profilo di Philipp Merkt

Philipp Merkt lavora dal 2015 presso PostFinance, dove ricopre attualmente il ruolo di Chief Investment Officer e responsabile Asset Management Solutions. Originario del Cantone di Soletta, ha studiato informatica ed economia all’Università di Friburgo e ha conseguito un MBA in finanza all’Università di Berna e alla Simon Business School della University of Rochester NY.

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