Tra pochi giorni, il popolo americano eleggerà una nuova o un nuovo presidente. Per la politica estera del Paese, e dunque anche per noi, si tratta di un’elezione importante. La candidata dei Democratici, Kamala Harris, vuole portare avanti l’impegno degli Stati Uniti nella NATO e nell’ONU, e dunque è a favore della continuità e dell’affidabilità sul piano della politica estera. Con Donald Trump, invece, non ci sarebbe la certezza di una politica estera prevedibile e concordata con gli alleati.
Sul fronte della politica interna, l’esponente del Partito Democratico sembra essere tanto simile al suo predecessore quanto Trump lo era a chi a sua volta lo aveva preceduto: Harris sarebbe sinonimo di uno Stato grande e forte, maggiori imposte per le imprese e le persone ricche e salari minimi più alti. Trump, invece, intende abbassare nuovamente le imposte per le aziende e vuole limitare il più possibile il potere dello Stato. L’ironia della situazione è che entrambi produrrebbero enormi deficit nel bilancio pubblico, se le condizioni di maggioranza in parlamento glielo consentissero. Pertanto, l’indebitamento degli Stati Uniti rischia di aumentare indipendentemente da chi sarà eletto a nuovo presidente.
In effetti, da un punto di vista economico i risultati ottenuti dalle amministrazioni dei Democratici e dei Repubblicani sono molto simili. Se si osservano i dati a partire dalla Seconda guerra mondiale, si può osservare come i presidenti repubblicani siano stati leggermente più abili nella lotta all’inflazione: durante le loro amministrazioni questa è stata infatti mediamente calante. Al contrario, i presidenti democratici si sono rivelati migliori sul fronte della crescita.
È tuttavia interessante il fatto che queste lievi differenze si possano spiegare analizzando l’economia stessa. A un’occhiata più attenta, infatti, nel loro secondo anno di amministrazione i Repubblicani hanno quasi sempre dovuto affrontare una recessione, mentre i Democratici sono riusciti ogni volta a registrare buone cifre di crescita. Volendo cedere allo stereotipo e affermare che i Repubblicani hanno cercato di combattere l’inflazione, mentre i Democratici hanno cercato di ridistribuire la ricchezza, è proprio questo il quadro che dovrebbe emergere.
Ad ogni modo, entrambe le parti sono riuscite a ottenere la maggiore crescita e il massimo tasso di occupazione possibile con un’inflazione accettabile a soli quattro anni dalle elezioni. Ciò si deve a sua volta al fatto che elettrici ed elettori attribuiscono il merito di una buona situazione economica al governo in carica, non importa di quale schieramento. In ogni caso, non sappiamo se un vittorioso Donald Trump combatterebbe attivamente l’inflazione o se una neoeletta Kamala Harris riuscirebbe a lanciare grandi manovre di redistribuzione con un parlamento a maggioranza repubblicana. Non possiamo dire con certezza chi dei due sarebbe la scelta migliore per l’economia americana,
e lo stesso vale anche per i mercati finanziari. Non possiamo formulare affermazioni univoche per l’una né per l’altro candidato. Soprattutto perché le borse non esulterebbero né di fronte alle imposte sul guadagno di capitale proposte da Harris né per le limitazioni all’autonomia della banca centrale americana annunciate da Trump.